A maggio del 2019 l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha ufficialmente riconosciuto la sindrome da burnout. Vediamo quindi come il burnout non sia una malattia (cioè una condizione medica), ma una sindrome, ovvero un complesso di sintomi legati alla situazione lavorativa.

Dopo anni di studi abbiamo delle direttive internazionali per diagnosticare questa sindrome. L’Oms ha specificato che prima di formulare la diagnosi occorre escludere altri disturbi che presentano sintomi simili. Come il disturbo dell’adattamento, l’ansia o la depressione. Inoltre il burnout è una condizione specifica del contesto lavorativo e non può essere ricondotta ad altri ambiti.

Secondo l’attuale definizione la sindrome da burnout è collegata allo stress lavorativo cronico che non viene gestito e risolto. Il burnout può occorrere quando le energie richieste da un lavoro continuativo, con poco tempo di recupero, sono nettamente maggiori delle ricompense e del riconoscimento ricevuti. Come conseguenza il lavoratore può avvertire una perdita di motivazione, di ambizioni, di ideali, di senso del valore proprio e del proprio lavoro.

Rispetto alle precedenti formulazioni ora le persone che ne soffrono hanno una maggiore legittimazione e possono venirgli riconosciuti i conseguenti diritti. Un altro aspetto importante è che attraverso il riconoscimento della sindrome si fa un ulteriore passo avanti verso il riconoscimento dell’effettivo potere di impatto negativo di contesti occupazionali fortemente stressanti sulla salute emozionale dei lavoratori.

DOTT. DAVIDE FARRACE, PSICOLOGO PESCARA